Documenti – 5. Problemi sociali

Trascrizioni a cura di Donatella Calabi (doc. a) Luca Molà (docc. b-c)


a – Milano chiude le frontiere ai veneziani

b – I dispacci degli Ambasciatori di Ferrara e Firenze

c – Società di Gasparo Balbi con due gioiellieri per commerciare tra Venezia e la Siria

***


a – Milano chiude le frontiere ai veneziani

Il primo documento è un passo tratto da una serie di Avvertimenti, ordini ed editti raccolti a Milano da Ascanio Centorio degli Ortensi nel 1576. Si tratta di una descrizione del tutto simile a quella di Rocco Benedetti e ad essa coeva. Le frasi che qui riportiamo si riferiscono al Bando dal dominio di Milano di chi proviene da Venezia, Murano, Mestre e dintorni, perché ancora colpiti dal contagio e quindi pericolosi, fissando pene pecuniarie per chi contravviene alle limitazioni. Anche i portinai dei fiumi e i custodi delle porte urbane non possono lasciar passare chi viene da quella città.

Il documento propone un isolamento commerciale e politico di Venezia nella fase in cui accetta le tesi dei medici padovani Mercuriale e Capodivacca di negare o minimizzare l’evidenza della peste.

La stessa fonte documentaria, riordinata nel 1576,  è stata pubblicata una prima volta a Venezia presso Giovanni e Gio. Paolo Gioliti de’ Ferrari nel 1579 e una seconda volta a Milano nel 1632 da Filippo Ghisolfi. Per un ritratto approfondito di Ascanio Centorio degli Ortensi si rimanda alla voce redatta da Nicola Longo per il Dizionario Biografico degli Italiani (qui).


Avvertimenti, ordini, gride, et editti: fatti et osservati ne’ tempi sospettosi di Peste, nell’anno MDLXXVI in Milano, con molti Avvedimenti utili e necessari di tutte le Città d’Europa, che cadessero in simili infortunij, e calamità. Raccolti dal Cavagliero Ascanio  Centorio de’ Hortensij, pp. 53-54


Agl’ill. SS.ri Andrea Alfieri Vicario di Provisione e Sessanta Decurioni del Consiglio generale della Città di Milano

Progresso della Peste di Venetia

Erasi andato fino a quello tempo intervenendo il bandire Venetia per causa della Peste ch’in ella regnava. Sentendosi che hora quietava, et hora cresceva, et affirmarsi da alcuni Medici non essere lei; al fine conviene cedere, imperocché il male andò tanto serpendo che dalla Plebe e del Popolo entrò nella Nobiltà con grande mortalità, nella quale nacque grande discordia e disparere, perciochè essa non voleva altrimenti andare a Lazzaretto, ne ivi sepelirsi, ma curarsi nelle proprie case et essere sotterrati nelle Chiese e nelle sepolture degli antichi loro, nelle quali contentioni il male s’andava più per quella Città diffundendo. Per il che avvisato l’ufficio della Sanità subito alli XXII di Giugno fece questa proibitione di Venetia, di Murano e Mestre e d’altri luoghi.


BANDO DELLA PROHIBITIONE di Venetia et d’altri luoghi. Per la Peste. MDLXXVI


Alli XXIII di  Giugno in Milano

Venetia, Murano et Mestre con altri luoghi banditi dal Dominio di Milano

Sendosi già molti giorni e Mesi con gran dolore e dispiacere nostro inteso che il male della peste faceva gran danno nella Città di Venetia, e luoghi circonvicini, e sperando pur nella bontà divina e diligenza che s’intendeva usarsi in essa, che tal contagione dovesse prendere diminutione; e perciò essendosi tardato quanto si è potuto di venire ad alcun bando. Nondimeno perché quasi da ogni banda sono venuti spessi e moltplicati avvisi del gran progresso che anco fa in detta Città il Male, e temendo che col portare innanzi  più i soliti rimedij non si scorresse in qualche subito et evidente pericolo con grandissimo danno Pubblico.

Però l’Illustrissimo Signor Presidente e Molto Magnifici Signori Conservatori della Sanità di Milano, havuta spora [sopra] di ciò matura deliberatione hanno ordinato che si faccia pubblica Grida e comandamento come per tenore della Presente Grida si che niuna persona di quale stato, grado e condivisione si vogli che venga da detta Città di Venetia, o da Murano, e Mestre, e luoghi circonvicini di essa Città, né con bolletta, né senza bolletta, né con robbe, ne senza robbe, ardisca di entrare in questo Stato, o Dominio di Milano, ne condurre, ne far condurre robbe, o Mercantie dalle lor Città sotto pena della vita e confiscatione de beni all’Arbitrio di detto ufficio.

E più si proibisce a qualunque Hoste, et a qualunque altra persona che non abbia ardire di alloggiare o ricettare in casa sua persone, né robbe con fede né senza fede che vengano, o siano portate da detta città e luoghi circonvicini sotto pena della Galea, o pecuniaria applicanda al Regio e Ducale Fisco a beneficio dell’ufficio della Sanità, et all’arbitrio come di sopra.

Parimente sotto pena come di sopra, si commanda alli portinari de i fiumi e custodi delle porte che tali quali venghino, come di sopra, non gli lascino passare o entrare; e si ammonisce qualunque à non contravenire alla presente Grida, perché altrimente se gli procederà inamissibilmente, o si promette a qualunque che accuserà alcuno de detti inobbedienti la terza parte della pena pecuniaria, e sarà tenuto segreto, e questo fino che alla bontà divina e misericordia de Iddio venga da detta Città, e come di sopra, migliore nuova della liberatione di tal male.

Altra versione in: Venezia e la Peste (Venezia 1979), p. 129, scheda 98.

***


b – I dispacci degli Ambasciatori di Ferrara e Firenze

Le lettere inviate dal residente diplomatico del Duca di Ferrara Alfonso II (Annibale Ariosti) e da quello del Gran Duca di Toscana Francesco I (Orazio Urbani) tra la fine di giugno e l’inizio di luglio del 1576 ci offrono una visione alternativa dell’epidemia, più distaccata e in parte critica della politica sanitaria veneziana. Entrambi cesseranno di scrivere i loro dispacci dopo il 7 luglio, essendosi allontanati dalla città per sfuggire al contagio.


Archivio di Stato di Modena, Archivio Estense, Cancelleria Ducale, Ambasciatori, agenti e corrispondenti Estensi, Italia – Venezia, busta 60, fasc. 76


30 giugno 1576

(…) Le cose della peste travagliano infinitamente, et tanto più quanto che essendo accesa in Padova si vede esser falsa l’oppinione di cotesti Medici Padovani che non vi sia peste.

Et perché questi Signori hanno per verbo principale proveder sempre al dannaro per poter supplire a quelle spese che vengono straordinarie con modi straordinarii, hanno imposto tre gravezze. L’una che tutti gli habitanti nelle case d’altri [con affitti] da XV ducati in su paghino un grosso per ducato, la qual gravezza vien ad esser quattro per cento et importarà intorno 60mila ducati, et questa tocca a ricchi et a mediocri. Le due altre vano adosso di poveri, et l’una è che per ogni soldo di pane si tenga un’oncia per la Sanità, et questa è di 14 per cento; l’altra che d’ogni quarta di farina si ritenghi una libra, et è di tre et mezo per cento.

Sono sin qui serrate sette case di senatori di Pregadi [Senato] con tanto spavento di molti che heri nel Senato non furono se non 153, di maniera che non potendosi in detto Senato far rissolutione quando non sono 150 si dubita che per qualch’accidente quando o altri partissero o s’infermassero non si potria riddur il Conseglio di detto Pregadi.

4 luglio 1576

Serenissimo Signore Patron mio Colendissimo.

Lunedì con tutto che fosse il giorno della Visitatione si ragunò il Conseglio di Pregadi per proveder all’urgente bisogno della peste, et fu dal Senato data piena auttorità a Sua Serenità insieme con l’Eccellentissimo Collegio et Deputati alla Sanità di crear XVIII gentihuomini, tre per sestiere, i quali con pienissima auttorità fossero essecutori delli ordini della Sanità, giudicando che essendo la cosa commessa a molti sia più facile il rimediarvi.

Insomma il male va ogni giorno facendo maggiori progressi. I rimedii non giovano. I Medici Padovani sono tuttavia sequestrati, mancano gli huomini che possano servir a bisogni della Sanità et i luochi finalmente per capir gli infermi. Onde è stato determinato d’accrescere la paga di ministri sino a X ducati il mese. Et si tratta nel Senato di dar licenza a monachi certosini et ad altri isolani de loro monasterii per mettervi gli infermi, la qual oppinione, se ben al principio hebbe contraditioni, non di meno giudico che per la necessità sarà abbracciata, et gli auttori di essa stimano che havendo gli infermi et suspetti luoco comodo, spatioso et più tosto delicato che altrimente, se ne potriano salvar molti.

S’aggiunse a travagli della città l’infettatione di molti castelli et villaggi nel Padovano, fra quali è Strà et Padova medesima, di donde essendo partito il Vescovo d’Ax per Vicenza gli fu prohibito da Vicentini il passo inanti et gli convenne affermarsi in campagna con molto incomodo. Per il qual accidente domenica andò in Collegio l’Ambasciatore Francese per ottener lettere da Sua Serenità che commettessero alli Rettori di Vicenza lo ricevessero con tutti i suoi, le quali furono concesse, benchè con qualche difficoltà, poi che essendo alteratione in Padova per non haver mai voluto questi Signori essaudir l’humili preghiere porte da Padovani per levar il comertio, dubitavano che se nascesse in Vicenza qualche infettione l’alteratione non seguisse tanto maggiore quanto che i Vicentini sono più arditi et più lontani da Venezia. (…)

7 luglio 1576

(…) Non solo la città ma anco i principali Senatori sono pieni di confusione et per la moltitudine de morti, i quali hoggi sono al numero di centotto in verità, et per la qualità delle persone nelle case delle quali entra la peste, perché pur heri morì uno in casa del Cavaliere Canaletto, che fu il passato mese Capo del Conseglio di X, et per esser quasi impossibile proveder alla povertà, che cessanti l’arti et in conseguenza il guadagno si va consumando.

Onde nella contrà di Castello populatissima è stato prohibito a donne et putti l’uscir di casa, et si tratta nel Senato di levar il Palazzo [chiudere Palazzo Ducale], nella qual oppinione heri fu il Clarissimo Donato dalle Renghe, che si trova spaventato grandemente perché inanzi il suo tribunale de Conservatori delle Leggi andò in agonia l’avocato Marino, benchè non per occasione di peste.

E’ anco passo strettissimo il far rissolutione sopra le robbe delle case apestate, perché l’abbrugiarle tutte è molto dannoso, et il sborarle per conservarle molto pericoloso. Et a me viene affirmato che a Lazaretto sono più di 700 fagotti, intendendosi per un fagotto la massaritia di una famiglia, i quali non sono mai stati sborati per mancamento di ministri, non vi essendo a pena tanti officiali che bastino alle cose più urgenti, cioè alla cura degli infermi et al portar le robbe fuori della città, et molti di essi fagotti non si sa di chi siano. (…) In Padova sono infettati San Giovanni di Verdara, luoco di Canonici Lateranensi, San Francesco de fratti Zoccolanti et S. Giorgio, monasterio di monache. A Mestre molti muoiono anco di peste


Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 2984, carteggio di Orazio Urbani da Venezia


30 giugno 1576 – (cc. 154r-157r)

(…) E quanto alle diligentie e custodie ai passi [dello Stato Toscano] non è dubbio esser necessaria ogni sorte d’achoratezza e di rigore, poiché il male qua si vede agumentare del continuo, e quel ch’è peggio par che nei preparamenti e negli ordini buoni [del governo veneziano] sia tutta una maggior confusione e gara, ochorrendo spesso che non così presto hanno fatto uno stabilmente che ne fanno un altro contrario o diverso. Si stamporno le nuove costitutioni [bandi] che io scrissi essersi pubblicate ma con haverne tolto via molte particolarità di quelle che al banditore furno sentite dire in voce, parte per non parer necessarie e parte forse anche più tosto ridicole che utili, come era quella che se ad alcuno veniva humore d’andar in casa di qualche donna del mondo havesse dovuto prima appresentarsi al parrochiano della contrada acciò l’approvasse per persona non infetta di peste o carboni e gli facesse il bullettino [lasciapassare]. (…)

[Sono] questi che si infettano per lo più gente povera e meschina, habita tutta una famiglia indiferentemente sani et ammalati in una sola stanza terrena angusta et infelice, nella quale stanno del continuo insieme a mangiare, dormire e vivere, di sorte che è forza l’aria di quel luogo esser contaminata, fetida e puzolente, et atta insomma a far ammalarvise. La qual ragione dicano i Signori della Sanità, quando anche non ci fosse l’altra più importante, cioè che il male sia peste, come da lor si tiene per chiaro, esser bastante a far che quando si scuopre uno ammalato di mal contagioso in quei luoghi si debba tutta la famiglia mandare al Lazaretto o Nuovo o Vechio, secondo che appare il bisogno, usandosi mandare come altre volte ho scritto al Lazaretto Nuovo quegli nei quali concorre qualche sospetto di male, et al Vechio quegli che già ne son feriti. Et finalmente essi Signori della Sanità adducono che si governano per lo più secondo gli ordini antichi buoni et esperimentati in altre sì fatte ochasioni. (…)

La nota questa settimana mostra che siano morte di mal contagioso nella città 95 persone, ma si giudica molte più, né del numero di quegli che si son mandati al Lazaretto può haversi alcuna vera notitia. Ben ho sentito dire a persone degne di fede che in quel giorno particolare nel quale la nota mostra che morissero 25 persone arrivorno a cento fra queste e quelle che si mandorno al Lazaretto già toche dal male, et alcune più morte che vive, né è dubbio che non sia così perché pur questa mattina in breve spatio che mi ochorse andare a torno per acqua ho incontrato almeno in sei luoghi barche della Sanità o con morti o con feriti o con cose infette. Si usa ancora sotterrar nelle chiese in casse benissimo confitte et impeciate alcun corpo che dicano non mostrare apparente certezza che sian morti di mal contagioso ma darne sospetto, le quali casse s’intende esser arrivate qualche giorno a 40. Et in simil modo fu sepulto un senatore di qualità, chiamato messer Francesco Pisani, il quale fu la domenica in Conseglio et il lunedì passò all’altra vita, tenendosi certo che havesse ghianduze manifeste, ma che si risolvessero di far così e non metterlo in poliza per manco terror della città.

Attendesi nel resto a fare orationi e qualche limosina ai luoghi pii, et a trovar denari per sovenir gli infermi. Per il quale effetto hanno stabilito che ciascuno debba pagare in termine d’otto giorni tanti grossi di 4 soldi quanti ducati paga di fitto di casa o di bottega, et una lira per ogni staro di farina che si compra.

In Padova ancora non son le cose a punto meglio conditione, intendendosi per cosa certa (et io pur hoggi ne ho lettere) che i morti si portano con la carretta e col campanello come si suole, et hanno sospeso le liti et il foro per 20 giorni.

7 luglio 1576 – cc- 160r-163r

Non ochorre che quanto alle cose della peste io infastidisca Vostra Altezza Serenissima (…) con sì tediose lungheze quanto è seguito la settimana passata, poi che hormai son pur cessate tutte le dispute, le gare e l’ostinazioni. Fu vero che morse quel Giesuita, non so che barbieri e servitori de Medici Padovani, per il che (…) furono sequestrati essi medici, i quali con la vana opposition loro non hanno fatto altro che espor la vita a grandissimo pericolo, perder grandissima parte della reputatione acquistata nel corso di molti anni e causare la morte a molti i quali, confidati nelle parole loro, hanno allargato la mano nella pratica di persone e robe infette più che non harebbon fatto.

La nota [dei deceduti divulgata dal governo] questa settimana mostra esser morte centotrentadue persone di mal contagioso, ma è falsissima, correndo oppinione che tal giorno habbiano ancor passato cento, e molti dicono assai più. Il mal non pur si può dir che sia peste, ma peste della più fina e velenosa. In casa d’uno avocato della nation fiorentina di quindici persone che erano ne son morte quattordici in undici giorni, e di queste cose se ne sentono molte. Potendo io dir di veduta una degna di molta compassione et anche di maraviglia, considerandosi quanto sia l’asprezza di questa maladetta contagio<ne>, la quale è seguita in una casa di un gentilhuomo rincontro apunto a quella dove io habito. E fu che un servitore di detto gentilhuomo, chiamato messer Stai Duodo, essendo andato a comprar due sole stringhe per un picciol figliolo del patrone in brevissimo spatio si scopersero le ghianduze all’uno et all’altro, delle quali morirno far poche ore. Per il che subito fu svuotata quella casa e con tutto il resto della famiglia mandato al Lazaretto quel gentilhuomo e la moglie, quali quanto più erano pieni d’ogni bella et honorata qualità e maniera tanta maggior pietà causorno in ciascuno che gli vidde. (…) né è dubbio che la contagione venisse per quelle due stringhe, già che il merciaio da chi le comperorno morì parimente quasi nell’istesso tempo.

Son sei medici di Venetia che propongano dividersi la città in sei parti con proibire che l’una non tratti con l’altra, e ciascuno d’essi vuol pigliar l’assunto di medicare con l’aiuto d’altri medici in uno di detti sestieri, il che per anco non è resoluto. Ma bene sono stati eletti tre gentilhuomini per sestiere con molta autorità, e si sono levati di nuovo un genovese et uno inglese che promettono gran cose, alle quali sebene siase dà pocha fede non manca però di prestar loro orechio. E fra tanto s’attende a riscuotere per sovvenimento degli ammalati li quattro soldi per ducato de fitti delle case, discorrendosi che farano la somma di 100mila scudi. In Padova si vedono fino in sei e otto morti in poliza, et è certa cosa il contagio esservi stato portato da un merciaio che vi vendè non so che robe. Nelle quali [città] se bene si veghano sì maravigliosi effetti non mancano però huomini tanto scellerati che vanno di notte a rubare nelle case sequestrate. (…)

Et io havendo già dui giorni informato largamente di quanto ochoreva, penserò tra due altri mettere in esecutione la benigna gratia concessami dalla somma bontà di Vostra Altezza Serenissima [di lasciare Venezia], et per hora me n’anderò a Vicenza o in qualche villa in quei contorni.

***


c – Società di Gasparo Balbi con due gioiellieri per commerciare tra Venezia e la Siria

Nella seconda metà di luglio del 1576, nel pieno infuriare della peste, non tutte le attività commerciali si fermano a Rialto. Alcuni notai restano attivi, aiutando gli uomini d’affari a porre le basi di imprese future. E’ il caso di Antonio Brinis, presso il quale si recano alcuni gioiellieri realtini a stipulare un contratto di società che prevede l’import-export di pietre preziose e prodotti tessili tra Venezia e la Siria. Il socio in procinto di partire per il Medio Oriente è Gasparo Balbi, che proprio da Aleppo inizierà tre anni dopo quel lungo itinerario attraverso l’Asia che lo porterà a toccare l’India e la Birmania, descritte al suo ritorno a Venezia nella narrazione dei suoi viaggi pubblicata nel 1590. Grazie al suo memoriale Balbi diverrà famoso, tanto che la sua epopea è ricordata nella Sala dello Scudo di Palazzo Ducale assieme a quella degli altri grandi viaggiatori veneziani.

Per un approfondimento sui viaggi di Gasparo Balbi consulta la voce di Ugo Tucci nel Dizionario Biografico degli Italiani (qui); per consultare il libro originale (qui).


Archivio di Stato di Venezia, Notarile Atti, busta 453, notaio Antonio Brinis, cc. 78v-79v


21 luglio 1576

Societas – D. Camilli Olivi et sociorum

Messer Camillo Olivi fu de messer Zuan Battista et messer Hieronimo Brugnera fu de messer Zuan Battista zoielieri per una parte, et messer Gasparo Balbi zoielier de messer Zuane per l’altra parte, con il nome de Dio et con bona ventura le parte preditte sonno devenute come devengono alla infrascritta compagnia, qual habbi a durar a beneplacito di esse, in questo modo, cioè.

Li preditti messer Camillo et messer Hieronimo hanno posto di suo capital ducati mille quaranta quattro lire doi soldi 5 in tanti lavori de panni de seda et carisee [kerseys, pannilana inglesi] et uno smeraldo cuogolo [con taglio cabochon] ligado in anello d’oro, comprade tutte ditte robbe et zoglia in contadi per li preditti ducati 1044 £ 2 s. 5, computando spese di datii et di altra sorte fino condutte in nave. Le qual robbe et zoglia el preditto messer Gasparo promette et si obliga portar con sì al presente viazo nel qual va in Soria con la nave Balanzera, patron messer Piero Solta, et trafegar ditte robbe, baratarle et venderle, et del tratto di esse comprar tante zoglie et mandarle de qui a Venetia alle mano de ditti messer Camillo et messer Hieronimo. Quali del tratto che caveranno de ditte zoglie debbino mandar de lì in Soria al ditto messer Gasparo altre sorte de robbe et lavori overo danari contadi, et il preditto messer Gasparo quelli trafegar et vender come di sopra, et investir il tutto in zoglie et mandarle pur qui in Venetia alli preditti messer Camillo et messer Hieronimo, et questo tante volte quante parerà ad essi compagni. Dechiarando che ditti lavori et zoglia sono stà consignati sulla preditta nave da esser dati al preditto messer Gasparo.

Anchor dechiarito che le spese che farà lui messer Gasparo nell’andar in Soria et le spese di bocha siano per conto proprio del ditto messer Gasparo. Le altre spese veramente che anderanno per conto della mercantia debbino esser poste a conto della preditta compagnia. Essendo obligati così ditti messer Camillo et messer Hieronimo qui a Venetia, come il preditto messer Gasparo in Soria, tenir buon, iusto, real et particular conto di tutto quello che manizeranno et caveranno di essa compagnia, da esser demostrato uno all’altro come è il iusto. Dovendo ciascadun de loro compagni exercitarsi realmente et fidelmente a pro et utile di essa compagnia, come si convien.

In fine della qual compagnia non volendo più ditti compagni continuar in quella, cavato prima il preditto capital de ducati 1044 £ 2 s. 5, da esser dato et asignato alli preditti messer Camillo et messer Hieronimo, et cavate tutte le spese che si haveranno fatte per causa della ditta compagnia come di sopra, tutto l’utile et guadagno che si haverà fatto nella preditta compagnia sia partido per iusta mità tra ditte parte, cioè la mità alli preditti messer Camillo et messer Hieronimo et l’altra mittà al preditto messer Gasparo, che Dio largamente il conceda, et così sia fatto etiam della perdita in caso che’l ne fusse, che Iddio nol voglia.

Obligando ditte parte per osservation di quanto nel presente instrumento si contien sì heredi et successori sui et tutti qualunque sui beni mobeli et stabeli presenti et futuri in ogni loco posti. Pregando me nodaro che di ciò ne faci il presente publico instrumento.

Actum Venetiis ad cancellum mei notarii infrascripti positum in Rivoalto, presentibus dominis Iohanni Antonio Lavizar quondam domini Deffendentis et Andrea Grasselli quondam domini Bernardi mercatoris lanarum, testibus vocatis et rogatis etc. [Atto rogato a Venezia al banco di me notaio posto a Rialto, presenti Giovan Antonio Lavizar del fu Defendente e Andrea Grasselli del fu Bernardo mercanti di lana, testi chiamati e richiesti etc.]


Novi avisi di Venetia – Rocco Benedetti Notaio in Venezia (qui)


Lascia un commento

avatar
  Subscribe  
Notificami