Documenti – 6. Distanziamento sociale

Trascrizioni a cura di Luca Molà (docc. a-b) ed Emilie Fiorucci (doc. c)


a – Proclama del governo veneziano sul confinamento sociale

b – L’acqua granda dell’autunno 1574 responsabile della peste?

c – Antonio Gualtiero: il background di un guaritore improvvisato

d – Medicina alternativa e affari: come arricchirsi con i segreti contro la pestilenza

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a – Proclama del governo veneziano sul confinamento sociale

Il 31 luglio 1576 il Senato di Venezia decise di confinare tutti i cittadini nelle loro contrade per due settimane, imponendo il distanziamento sociale. Esclusi dal decreto erano i nobili appartenenti ai principali organismi dello Stato o coinvolti nella gestione dell’emergenza, assieme ai membri dell’apparato burocratico. I portalettere potevano continuare a consegnare la corrispondenza, mentre a mercanti e mediatori finanziari – uno per ogni azienda  – era concesso frequentare Rialto, dove le banche erano obbligate a restare aperte .


Archivio di Stato di Venezia, Collegio, Notatorio, reg. 42, cc. 123r-124r


3 agosto 1576

Il Serenissimo Principe fa a saper, et è per deliberation et auttorità del Eccellentissimo Conseglio de Pregadi.

Che dovendosi attender con ogni diligentia possibile al liberar questa città del mal contagioso, tutte le persone habitanti in essa si voltino col spirito alla Maestà del Signor Dio, supplicandolo divotamente con tutto il cuor loro che si degni liberar questo suo populo, facendo continue orationi et digiuni.

Che per giorni XV continui, li quali col nome del Spirito Santo habbino ad incominciar dominica prossima, che sarà alli V di questo mese, tutti stiano sequestrati nella sua contrada, sì che alcuno, sia di che stato, grado, condition, sesso et qualità si voglia, in pena della vita non ardisca non solo uscir di essa contrada ma né anco entrare in casa alcuna di altra persona fuorchè nella sua, ancor che quella tal casa fusse nella propria sua contrada.

Eccettuati tutti quelli dell’Eccellemtissimo Collegio, li Clarissimi Signori Avogadori di Comun, li Illustrissimi Signori Capi dell’Eccellentissimo Conseglio di X, li Clarissimi Signori Censori, quelli che entrano nel detto Excelso Conseglio di X, et tutti quelli che entrano nell’Eccellentissimo Conseglio di Pregadi et i Signori XL Criminal per quel tempo che occorrerà ridursi alli loro officii, magistrati et consegli, et quelli magistrati anco che per li occorrenti et urgenti bisogni publici fussero necessarii.

Eccettuati anco i secretarii, li nodari ducali et li ministri di esso Collegio, magistrati et consegli, li quali tutti solamente per li bisogni delli loro officii et carichi come di sopra possino uscir della contrada per essercitar detti loro officii et carichi.

Che le persone publiche possano andar coi servitori loro, ma che i barcaruoli sbarcati li patroni fuori della contrada non possino uscir di barca, né pratticar di barca in barca accettando altra persona nella sua o andando loro in quelle d’altri, sotto irremissibil pena di esser tolti per picegamorti.

Possano et debbano li corrieri et portalettere continuar i loro viaggi nel modo che fanno al presente senza entrare per modo alcuno nelle case et portar fuori della città robbe di sorte alcuna che potessero portar contagio.

Che li mercanti così venetiani come d’altre nationi, et similmente li sanseri [sensali] di cambii, possino con le lor fede delli piovani sottoscritte dalli deputati delle contrade andar uno per casa [società] a Rialto per li loro negocii, dovendo per tal effetto li banchi [banche] in Rialto sentar secondo il loro solito.

Che li datiari di questa città possino con doi delli loro ministri per cadauno andar in barca et non altramente per proveder alle occorrentie et bisogni delli loro datii.

Publicata sopra le scale di San Marco e di Rialto per Giacomo Sabusian comandador.

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b – L’acqua granda dell’autunno 1574 responsabile della peste?

Nel 1576 il veronese Annibale Raimondo, ‘astrologo, geomante, chiromante e fisionomo’, come egli stesso si definiva, diede alle stampe un opuscolo in cui individuava le cause dell’epidemia nell’acqua alta eccezionale verificatasi la notte dell’11 ottobre 1574, pochi mesi prima dell’arrivo della peste a Venezia nel marzo del 1575. Inquinando i pozzi pubblici l’acqua granda avrebbe poco a poco avvelenato il popolo della città che se ne serviva quotidianamente, non avendo altri modi per dissetarsi o cucinare. La vivida descrizione della marea eccezionale e la sua tempistica rispetto al diffondersi della malattia hanno una curiosa assonanza con l’attualità.

Per un approfondimento su Annibale Raimondo consulta la voce di Gabriele Coradeschi nel Dizionario Biografico degli Italiani (qui); per consultare il suo opuscolo (qui).


Discorso de Annibale Raimondo veronese nel quale chiaramente si conosce la viva et vera cagione che ha generato le fiere infermità che tanto hanno molestato l’anno 1575, et tanto il 76 acerbamente molestano li popoli de l’invittissima città di Vinetia. Indirizzato a tutti quelli che non sono idioti delle cose naturali, degli accidenti, et che molto intendono la prattica della città di Vinetia


In Padoa, MDLXXVI

(…) Non essendo dunque da la maggior parte dei medici stata per il buon verso intesa la cagione donde sono nate le fiere infermità passate et presenti nella città di Vinetia, et essendo io (…) sforzato a rendere al mondo il vero conto del fiero accidente che con tempo le ha produtte et generate, cominciarò a dire che:

L’anno corrente di nostro Signore 1574, alli 11 d’ottobre la notte sequente, piacque al nostro signor Dio che fussero venti tanto rabiosi e tanto fieri che con tanto impeto cacciassero l’acqua marina verso il Lido, che in molti luoghi lo ruppesse et che senza alcun altro ritegno la penetrasse con tanta bravura nella città di Vinetia che la facesse stupire ognuno, e non senza cagione, perciochè ella superò d’altezza tutte l’altra acque che per l’adietro a ricordo de viventi in ditta città facessero danno, conducendo seco per le calli, per i campi, tante barche, piatte et barchette senza alcun governo, che parea cosa strana.

Et se nostro signor Dio non havesse aperto l’occhio de la misericordia et fatto cessare i tempestosi venti, che minacciavano rovina senza fine, non è dubio alcuno se havessero durato ancora solo hore tre che gli habitanti di Vinetia non havessero fatto la penitenza dei suoi peccati, perciochè l’acqua haverebbe montato tanto alto et fatto tanta rovina che sarebbe stata incredibile a chi l’havesse udito dire e non veduto.

Piacque a nostro signor Dio che i venti cessassero et che l’acqua marina ritornasse nel suo stato primiero, la quale al principio che con tanta velocità giunse in Vinetia furiosamente andò per tutte le calle, nettando tutti i gattoli [tombini di scarico], lavando tutti i campi, et nettando ogni luogo che havesse sporchezza o lordura, et tutte queste immonditie de la città condusse nelle pilelle [canali di raccolta dell’acqua piovana] dei pozzi dei campi. (…)

Io giudicai che tutti quelli che continuamente bevessero de l’acqua dei pozzi dei campi a lungo andare non potessero fuggire che non cadessero in qualche stana infermità da farne non poca stima. Et molto più giudicai tal maledittione soprastare ai poveri che a quelli che fossero accommodati dei beni di fortuna. Perciochè non havendo i poveri il modo di comperarsi del vino, a suo mal grado erano sforzati a levarsi la sete con l’acqua dei pozzi dei campi, et cocersi degli herbaggi et altre cose che con la mala natura de l’acqua insieme le penetravano per tutte le parti del corpo, et con processo di tempo erano condotti all’altra riva non sel credendo.

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c – Antonio Gualtiero: il background di un guaritore improvvisato

L’indagine a fini fiscali condotta dall’ufficio statale della Milizia da Mar con l’aiuto di testimoni ci permettere di conoscere le fortune del merciaio fiammingo Antonio Valtier – o Gualtiero – poco dopo il suo arrivo a Venezia, un decennio prima che l’esiziale metodo di cura da lui ideato contro la peste si sommi ai danni dell’epidemia e lo porti alla rovina. Si tratta di un uomo d’affari di livello medio-basso, dedito all’import-export di tessuti tra la piazza veneziana e Anversa, che forse concepisce il suo bizzarro rimedio proprio per sollevare le sue fortune.


Archivio di Stato di Venezia, Milizia da Mar, b. 446, c. 80r


9 dicembre 1567

Sopra ser Antonio Valtier fiamengo al S. Rocco in Marzaria.

Disse l’oltrascritto ser Marin de Vicenzo marzer all’insegna del Prete con giuramento alla presentia del clarissimo meser Giovan Battista Barbarigo presidente: ‘Costui era fante di un che stava zo del ponte de Feralli fiamengo, nominato Guielmo Vermaide, et ha levato questa botega zà dui anni, la qual ha poco inviamento, non vende altre robbe che quelle che li vien di Fiandra mandate da suo patron. Vende qualche poco alla Merzaria cioè sarze, hostee, valenzane et rensi [tessuti di lana, lino o cotone]. Tien in botega poca robba, ma separatamente ha un magazen nel qual tien delle sopradette merci per fornir la Merceria. Credo che manda in Fiandra sede, ormesini [tessuti di seta leggeri] per tratto di quelle che receve. Nè vi so dir quello che volza [quale sia la rotazione annua del capitale] per questo conto’.

19 gennaio 1568

Disse ser Pasin de Antonio marcer alla Cerva con giuramento datoli per il clarissimo meser Francesco Michiel presidente: ‘Costui non vi so dir quello che possa haver de cavedal, perché ne ho poca prattica, per esser poco tempo che è in questa città. Ma vi so ben dir che lui vende in grosso a più di noi altri marceri robbe de Fiandre di ogni sorte. Tien in botega poche di queste robba, ma in casa tien la sua mercantia che fa venir di Anversa dove ha sui fratelli che li responde’.

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d – Medicina alternativa e business: due segreti contro la pestilenza proposti al governo


Proposta del fisico Gaspare Tolentino da Latisana


Paolo Preto, Peste e società a Venezia, 1576, seconda edizione, Vicenza 1984, Appendice, pp. 207-208
(da Archivio di Stato di Venezia, Provveditori alla sanità, Notatorio, reg. 733, ff. 95 v-96 v)

31 gennaio 1577

Clarissimi et Osservantissimi Signori sopra la Sanità.

Non havendo io creduto come neancho li Eccellentissimi Medici di questa inclita città non credono che questo anno 1576 dovesse sucieder cusì grave infirmità et mortalità di giente come è successa, non ho fatto provisione alcuna di certi saluberrimi medicamenti da me in altra occasione sperimentati et con l’agiuto del Signor Dio reusciti veri in questa sorte d’infirmità, onde non ho voluto scoprirmi così sprovisto a far tal prova per non haver avuto copia di quello che in tal occorrentia mi era necessario, essendo che tal mio medicamento non si po preparare se non intorno il mese di marzo.

Però hora che si aprosima il tempo di poter trovar le cose necesarie a tal medicine io mi apresento avanti Vostre Signorie Illustrissime et me li offerisco di preparar questo mio medicamento per questa primavera, et facendo bisogno, il che non voglia Iddio, mi offerisco senza premio alcuno di liberar li infermi et preservar li sani di questa cità da questo male, volendo servar loro li advertimenti che io li darò con tal mia medicina come sarà fatta, che altro non serà che una polvere da me fatta.

Voglio che la sii posta in una spiciaria di questa cità da esser venduta in le sue recete stampate et conservar li danari del nato di essa, li quali facendo ditta polvere la reuscita secondo la mia proposta mi debano esser datti, altrimente siano dispensati a qualche loco pio et come meglio parerà a Vostre Signorie Illustrissime. La qual polvere per queli che passassero li 17 anni costerà soldi dodeci, dalli ditti anni 17 in giù alli 10 costerà soldi otto, et dalli diece in giù costerà soldi sei per una volta tanto. Et di più voglio che per più presteza et sicura liberation di questa città, accioché niuno possi restar per povertà di non se proveder di questo mio remedio, che ad ognuno che haverà una fede del piovano della sua contrada di esser talmente povero che non habi la comodità di comprar essa polvere li sia datta in dono, et questa aministratione sia datta in mano di persona sicura et reale. La qual mia polvere, come ho sopraditto, ha virtù di conservar la sanità et preservar da questa contagione et guarir li feriti da tal male et risolver ogni sorte di carboni et giandusse quasi miracolosamente, come se ne vederà sperienza adoperandola.

Se dunque tal mia preposta sarà acetata da Vostre Signorie Clarissime, come credo che esse farano per liberatione di questa sua città, io verò a dar prencipio con l’agiuto de Dio il giorno della Nonciata questo mese di marzo prossimo con ferma speranza di riportarne felice vitoria, per esser questo mio medicamento statto sperimentato da me molte volte in altre occasioni et d’altri eccellentissimi medici da quali io l’ho avuto. Et cusì piacendo alle Vostre Signorie Clarissime mi farano un general mandato che io possi andar per tutte le loro terre et luoghi a raccoglier di quelle sorte di herbe et radice et semenze che sono necessarie a questo fatto, eccettuando giardini et horti, senza esser molestato da persona alcuna. Et con questo fine alle Vostre Signorie Clarissime di continuo me gli offero et raccomando, pregando sempre per la liberatione di questa inclita cità. Et di più voglio che tutti quelli che torano il mio medicamento siano notati sopra un libro con il nome et dove stano, acciò si possi veder la verità.

Gasparo Tolentino fisico dalla Tisana dottor.


Proposta del medico Ascanio Olivieri


Paolo Preto, Peste e società a Venezia, 1576, seconda edizione, Vicenza 1984, Appendice, pp. 210-211
(da Archivio di Stato di Venezia, Provveditori alla Sanità, reg. 14, cc. 311r-312r)

estate del 1576

Serenissimo Prencipe Illustrissimi Signori.

Ritrovandomi io Ascanio di Olivieri medico et ceroico alli lazzaretti di questa città, humil servo de Vostra Serenità, il secreto de medicar et curar il mal contagioso così da giandussa come da carbone, havuto in dota da mia consorte, et è l’istesso che haveva il quondam Eccellentissimo messer Nicolò Colochizario <mio> suocero et sua consorte, conosciuto per ottimo rimedio per l’esperientie per loro fatte in Istria et altri luochi et particolarmente in questa città l’anno 1528 et l’anno 1556, et per me in Desenzano, Cattaro, Sebenico, Curzola et già un anno in questa città.

Non ho mancato in questa occasione con ogni dilligenza et sollecitudine all’obbligo mio et al bisogno delli ammalati, de quali al presente me ne attrovo quella grandissima quantità come per la nota di essi appar nell’Offitio della Sanità, che non si pol logar che bisogna metterli cinque e sei per letto, e come tuttavia continuo con ardentissimo animo de ben servir la Serenità Vostra. Ma credendo che il mal moltiplica per causa che li appestati stanno nelle proprie case tre, quatro giorni con il male, così che infettando altri lor stessi si privano d’aiuto non ricevendo in tempo il rimedio che al sicuro li risanerebbe, il qual doppo che il mal è penetrato molto innanzi con difficoltà li giova. Et a questo modo il numero delli appestati è arrivato al numero grandissimo,come per detto Offitio della Sanità si puol veder, con publico e privato danno, il che si vede chiaro per la moltitudine grande de amalati che per strada se ne morono o poco doppo gionti [al Lazzaretto] senza che io li possa dar rimedio alcuno.

Però volendo io dar modo ad ognuno di esser con prestezza curato et medicato come si conviene a mal così presto et accuto, che ricerca subito rimedio, mi offerisco con la presente mia scrittura di manifestar et pubblicar a ognuno, o come parerà a Vostra Serenità, il secreto et modo di medicar la giandussa et li carboni. Alli quali carboni essendo applicato il mio medicamento subito cavandoli el dolore e smorzandoli la forza in breve leva il carbone col piede senza taglio alcuno, del che credo fin hora l’opere per me fatte ne rendino chiara esperientia, et con maggior benefitio havrei operato se li ammalati mi fossero gionti prima et non quando la maggior parte è per espirare. Questo secreto fatto publico et usato da sani con difficoltà prenderanno male, et prendendolo la malatia sarà meno grave et pericolosa et alli ammalati li risanerà per la maggior parte quando sia applicata per tempo. Come ho detto con il qual secreto esso mio suocero et suocera si sono sempre presservati, si come io ho tuttavia osservato nel colmo della peste. E’ facile a trovarsi et in gran quantità con pochissima spesa, et perché questo secreto è la dote de mia consorte et quanto me retrovo de beni de fortuna è conveniente che Vostra Serenità si degni di conoscermi, così per servitù fin ora fatta, come per la pubblicatione de tanto secreto.

Però la supplico a concedermi ducati cinquemille de contadi per una volta tanto e ducati trenta al mese di provision netti di decima et ogn’altra angaria, computando in essi ducati trenta li ducati dodeci che al presente ho di salario, la qual provisione s’intende così in tempo di peste come de sanità, in vita mia et de miei figlioli, tanto maschi come femine, obligandomi continuamente al servitio di Vostra Serenità in questa città o dove a lei parerà. Et quando l’opere per me fatte finora non siano bastanti, per tutta quella esperientia che potesse desiderar la Vostra Serenità mi offerisco ch’essendomi consegnato un numero di appestati per tempo, cioè il primo giorno che si scuoprirà in loro la giandussa o carboni, di curarli e sanarli almeno per la maggior parte, et l’istesso sarà ognuno che habbia tal mio secreto. Con che alla sua buona gratia con ogni reverentia <mi> raccomando.


Novi avisi di Venetia – Rocco Benedetti Notaio in Venezia (qui)


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