El sommo della condizione di Vinegia

Venezia vista da Jacopo d’Albizzotto Guidi

edizione a cura di Marta Ceci (Roma 1995), pp. 15-20

Capitolo secondo

(…)

E a voler seguir mia volontà,
mi convien capitare in su Rialto:
di mercatanti è gran quantità.
Quivi è un ponte non fatto di spalto,
ma di legname sì ben lavorato;
chi non passa per quel fa un gran salto
a voler valicar da l’altro lato,
dov’è una loggia di belleza fonte,
di marmi e di legname lavorato.
A man diritta, iscendendo el ponte
là dove si riduce ogni uom gentile,
è cavalier’, signor’, marchese e conte.
A basso questa è per gente più vile:
si giuoca a zara, tavole e carte,
secondo che cciascuno è più sottile.
Ancor di questo luogo non si parte
el mio intelletto a mutar condizione,
ov’è di varottari una grand’arte.
Sonvi tre banchi di tant’afezione
di scritte che son tanti suficienti
color ducati ciaschedun vi pone,
per fare e pagamenti a tutte genti
d’ogni mercato e anche de’ soldati:
sicché convien che ciaschedun contenti
di scritta o di danari anoverati.
E drieto a questi sono e telaruoli,
che vendon tele per tutti e mercati;
e po’ più oltre sono e funaruoli,
che vendon corde e spago di più sorte;
e drieto a lloro sono e caciaruoli.
Perché ‘l mio dire non ti paia forte
E’ v’è la pescheria tanto piena
di quantità di pesci d’ogni sorte.
Ad altre cose la voglia mi mena:
a dirti d’un gran numero d’ugelle,
che, s’i’ tel dico, non te ne dar pena:
la quantità che si vende di quelle
d’ogni maniera color voglie acorte
grandi e mezane e qual’ minor’ di quelle
che lla più parte vi si portan morte,
tutte pelate ch’è una maraviglia,
e tante grasse che paion pur tòrte.
È ‘l modo d’esse quante se ne piglia
per queste valli, che non son sì piene,
ch’a pigliar quelle molti s’asottiglia;
ed è sì grande el numer che cci viene,
da l’autonno insino al carnovale,
che chi llo udisse per bugia lo tiene.
E queste ugelle tanto pregio vale
che a contarlo ti parrà minzogna
e forse mi terrai men che liale;
ma pure a dirlo non arò vergogna,
perch’egli è vero quel ch’i’ ti vo’ dire,
sì che a tacerlo questo non bisogna.
Ben centomilia lire a non fallire
di pizioli si vaglion quest’augelle
e anche più che non si può disdire,
oltre alla penna che si tra’ di quelle,
che chi ‘l vedesse è sì gran montanza
che ti parebe molto tal’ novelle.
Fan queste ugelle sì grande abondanza
a questa terra, in iscambio di carne,
ch’a e beccari già nolli par danza
quanti son quelli che, in piè di starne,
mangian di quelle, chi lesse e arosto,
secondo ch’a cciascuno par di farne,
perché rincresce a molti cotal costo
di quelle starne, che vagliono assai,
sì ch’a l’ugelle ciascun corre tosto.
E perch’io penso che anche tu sai
che grande spese si son di gran pena,
non voglio in questo dir darmi più guai.
E po’ più oltre questa via ti mena
su per la riva sanza dimorare,
ov’è la frutteria, ch’è di gran lena:
chéd ogni frutta che tu sa’ contare,
sì per la state e anche la vernata,
e secchi e freschi quivi puo’ trovare.
La polleria v’è sì ordinata
di polli e salvagiumi d’ogni sorta
ch’un’altra credo non abi trovata;
e po’ più oltre questa via ti porta
ove son più taverne e osteria
alla man zanca in una via tòrta,
ove tu truovi pure in questa via
chi vende pane d’ogni ragion cotto
che lieva a’ forestier’ gran ricadia.
Ancor conviene ch’io ti faccia motto:
e’ v’è chi vende salsicce e baldoni,
che molti ghiotti vi coron di botto.
Altr’è botteghe d’altre condizioni:
chi fa savori e chi vende narance,
pesce insalato di molte ragioni;
non vo’ tu creda ch’i’ ti dica ciance.
E’ v’è molte botteghe di barbieri:
chi cava denti e chi rade le guance;
e più botteghe v’è di caligheri
e d’altri artigian’ di più ragioni,
che cciaschedun lavora volentieri,
che a voler contar lor condizioni
sarebe lunga la mia fantasia;
ma pensil que’ che han discrezioni.
Appresso a questi è Ila beccheria,
ove si taglia carne d’ogni sorta:
manzi e castroni che vien d’Ungheria
e altre carni che molti conforta,
che son vitelle e agnelli e cavretti
e molti porci che quivi si porta.
E po’ più oltre, seguendo e mie detti,
tu truovi cimatori e calzaruoli
e sarti da pelande e da farsetti.
Molte botteghe v’è di stracciaruoli:
chi fa gonelle e chi giorne’ frapate
per chi va al soldo, che son ma’ figliuoli.
Anche v’è quelli da miglior’ derrate,
che fan gonelle di rasce e di frigio
e veste vecchie che son ricardate
di panni di colori e chi di bigio.
Èvi chi vende pelande di seta
da done e omo, con màrtori e grigio:
per che la lingua mia non istia cheta
a dir la quantità che han costoro,
di que’ c’han poco la lor fama lieta,
per lor pelande, ch’è di seta e d’oro,
e di scarlatti fini e cciambellotti,
che si convengon vender per coloro.
E per farti asapere altri motti,
egli è in Rialto gran numer d’oresi
che llavoran d’argenti dì e notti,
qua’ viniziani e chi d’altri paesi,
che lavoran cinture e chi fogliette,
e d’altri lavorii tutti cortesi;
chi fa botton’ di filo e chi pianette,
e chi fa taze, pironi e cuglieri,
e chi ad altro lavorar si mette.
Chi fa bazini e coppe volentieri,
e chi fa miscirobe e confettiere,
che fan bisogno per li forestieri,
e d’altri lavorii di più maniere,
secondo ch’a llor vien ordinato
ciò che bisogna a questo mestiere.
Lasciàn costoro, e va’ da l’altro lato
ad altra via di magior tesoro
a trovar cose ch’i’ non t’ho contato,
ove si truova chi lavora d’oro,
chi fa anelli per legar balasci,
perle e zaffiri, che legan costoro.
Non fa bisogno che or qui ti lasci,
ché v’è molti maestri e mercatanti
che hanno d’ogni gioie molti gran’ fasci.
Chi ha rubini, turchiesse e diamanti
e chi smiraldi, niccoli e corniuole,
che costan l’oro di molti bisanti.
Non vo’ tu creda ch’i’ ti dica fole,
che quel ch’i’ dico ti dica bugia,
ché non mi perdere’ queste parole,
ma noll’abia nessuno in villania
ch’un’altra terra so che non si truova
dov’abia tante gioie in una via.
A voler farne con chi vuol la pruova
che quel ch’i’ dico sia la veritade
e non ti paia el mio dir cosa nuova,
egli è in Vinegia per molte contrade
d’orefici d’argento e gioellieri,
che fan lavori di diverse squadre.
A questo dir vo’ levare e pensieri
e d’un’altra arte mio dir conterotti,
ov’è di tal lavoro molti artieri:
fassi in Vinegia gran numer di botti
in una via che si chiama Pescina,
ch’a lavorar non resta dì e notti.
E anche el mio intelletto si dichina
a dir dell’arte de’ ricamatori,
perch’è un’arte molta pellegrina.
Nel mondo si lavora ta’ lavori
quanto a Vinegia, che ne son maestri
a far ricami con diversi colori.
El mio intelletto convien che si desti
inver Rialto nella drapperia,
ch’a vender d’ogni pano son sì destri:
ver è ch’è una meza villania
a udir le contese de’ fattori
quando si mostra’ panni intro la via.
Molte botteghe v’è di cimatori,
ch’è ogni panno che tu vuo’ cimare
grossi e gentili e d’altri colori.
I’ non poria, perdio, tutto narare
la gran comodità ch’è in Vinegia,
c’ha d’ogni cosa che tu sai nomare:
sicché per questo ciaschedun la pregia,
perch’è copiosa sì ben d’ogni cosa
ch’a torto fa colui che lla dispregia.
Ma i’ vo’ ben che ‘l mio dir non si posa
a dirti cose d’altre condizioni,
acciò che ‘ntenda quant’è angosciosa.
V’è la camera delle ‘mposizioni,
dove si paga quand’è la bisogna
a cciascheduno tutte lor fazioni.
E per darti a veder che non si sogna,
e’ v’è chi rende el pro dell’impresti,
ch’andar per quelli ciascheduno agogna.
A pigliar que’ danar’ tutti son presti,
ché molti vivon di cotale entrata,
sicch’a tòr quelli ciaschedun si desti.
Qui vo’ lasciare star questa brigata
e vo’ tornare inverso del ponte
e per dir altro sarà mia giornata,
per dirti d’altre cose non t’ho conte.